Presidente Nazionale delle Università Popolari Italiane, Francesco Florenzano è uno dei maggiori teorici della Filosofia dell’apprendimento e un convinto assertore del principio secondo cui la formazione dell’individuo sia fondamentale per la creazione di una società democratica e civile. Un’ampia riflessione sul tema è nell’ultimo suo lavoro, Alfabeto maggiore, come cosa e perché imparare per tutto il corso della vita, edito dall’Edup, l’editrice dell’Università Popolare.
L’alfabeto minore secondo Florenzano è l’abc della vita, le regole per vivere nel consorzio sociale, ma quello maggiore è necessario per allargare l’area della conoscenza, ovvero l’educazione permanente, quella che apprendiamo lungo il corso della vita. Con un progetto di base che l’educazione è convincimento della gente a partecipare alla vita della democrazia, dunque è una questione politica. Secondo Florenzano negli ultimi trent’anni si è creata una discrasia spaventosa tra discipline umanistiche e tecniche, con una divisione macroscopica tra forme di apprendimento e con la convinzione che si possa vivere senza le scienze umanistiche. Scienze inutili come le ha definite ironicamente il filosofo Nuccio Ordine.
Il dopoguerra è stato una stagione di straordinaria evoluzione, perché se figure come la Montessori si rivolsero alla formazione dei più piccoli, Anna Lorenzetto, Nitti, Salvemini e Alberto Manzi hanno spinto i governi a prolungare la scuola dell’obbligo e a formare un popolo di analfabeti.
Dopo la scolarizzazione di massa poggiata sui programmi scolastici sono le letture non codificate, il cinema, la televisione a fornirci un apprendimento non formale ma intensivo e arricchente. A questi Florenzano aggiunge un apprendimento informale, ovvero casuale e involontario. Che è il vero processo di educazione permanente offerto dal contesto nel quale nasciamo e viviamo. Tutto questo costituisce oggi il lifelong learning.
L’apprendimento non formale ha avuto in Italia un maestro indiscusso in Danilo Dolci. Per primo Dolci ha formato un tipo di scuola fondato sull’insegnamento di discipline che sfuggono dai programmi scolastici e utili ai lavoratori, alle future mamme. Ci sono oggi datori di lavoro che organizzano corsi per i dipendenti, gli ordini che costringono a seguire dibattiti convegni opere teatrali cineforum.
L’insegnamento di tutte le discipline si rivela utile solo nel caso in cui si costruisca un progetto nel quale vadano a inserirsi tutte le notizie, passando così da un ruolo di informazioni a un progetto formativo. Era ciò che proclamava Gramsci e che aveva descritto Leopardi, non l’offerta di notizie ma la creazione di un corpo sociale ricco di un progetto democratico.
A questo proposito, Florenzano ricostruisce sotto i piedi del maestro quel piedistallo che si stava sempre più sgretolando. Il maestro è una figura carismatica e familiare, lo è nella scuola, nell’arte, nell’artigianato. E fa di Alberto Manzi una figura di grande prestigio, per la sua voglia di insegnare a giovani e meno ciò che altrove non hanno trovato tempo di imparare. Perché non è mai troppo tardi per imparare. C’è un’educazione addomesticatrice che porta il soggetto ad uniformarsi al contesto sociale nel quale vive e una formazione liberatrice, che tende a far acquisire al soggetto un pensiero critico. Così nella formazione è importante più che trasmettere nozioni, comunicare, perché la comunicazione conferisce libertà. Altra distinzione fondamentale è tra potere e dominio. Il potere è una forma positiva di azione, ma quando diventa coercitivo ecco la nascita del dominio.
Esistono varie forme di apprendimento non legate alla scuola ma che sono diventate fondamentali nella vita. La televisione è una di queste. Ma l’eccesso di ripiegamento verso il basso ha fatto sì che un mezzo che avrebbe potuto avere un posto principale nella formazione è diventato un mezzo di deformazione sociale, a causa dei troppi format volgari, dominati dalle sole regole dell’economia e della pubblicità e per niente dell’etica.
Si è creata così una televisione che agli ultimi dedica attenzioni da sottosviluppo. Proprio ciò che combatteva don Milani ne La scuola di Barbiana. Chiamava i ragazzi ritardatari, bocciati, considerati stupidi e li preparava per essere reintrodotti nella società. Si affiancava alle Associazioni di Comunità, cui aveva dato vita Adriano Olivetti. Olivetti aveva introdotto i libri, la formazione manuale, l’uso dei nuovi elettrodomestici, l’arte. E aveva trasformato le fabbriche in luoghi dove il lavoro era affiancato dalla formazione culturale.
Grandi educatori sono i Musei, i festival culturali e le biblioteche pubbliche. I numeri sono spaventosi. La Basilicata conta 30 musei, a fronte di 131 della Puglia, 91 di Abruzzo, 530 della Toscana, 258 delle Marche.
L’altra grande socia di questa forma di acculturazione è offerta oggi dalle Università della Terza Età. Il compito di questo sodalizio è sconfiggere l’analfabetismo funzionale che accompagna il nostro popolo, ovvero l’incapacità di utilizzare ciò che abbiamo appreso a scuola nella quotidianità. Così ci blocchiamo di fronte a Internet e prima ancora all’uso di computer e telefonini, di guidare l’auto, di usare correttamente tutto ciò che la tecnologia ci offre e di dialogare in inglese. L’Università della terza età allunga il tempo della formazione, coprendo l’ultima parte della vita con un processo informativo che restituisce dignità alla vita degli anziani.